La Costituzione italiana all’articolo 41 recita: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi ed i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
La Costituzione ci fornisce una visione di tutela, non solo per il consumatore ma per tutti i protagonisti dell’attività economica. Già nel 1968 Giancarlo Pallavicini, economista Italiano, affermava che l’attività d’impresa, pur mirando al profitto, avrebbe dovuto tenere presenti una serie di istanze interne ed esterne ad essa, tra cui quelle di natura socio-economica.
Antecedentemente economisti come Gino Zappa, uno dei padri della ragioneria italiana, o Bruno De Finetti, il padre della probabilità moderna nella sua nozione della “geometria del benessere”, avevano intuito che l’economia ha fondamento di esistere se tutti i suoi attori diventano partecipi e ugualmente importanti.
Nel 1980 Freeman introduce il termine di stakeholders, letteralmente “portatori d’interesse”, mettendo l’accento sui limiti etici dell’economia moderna e sottolineando l’importanza di rapportarsi in modo esplicito e consapevole con tutti gli agenti economici coinvolti dal suo operare nel mercato.
La nozione di Responsabilità Sociale d’Impresa si sviluppa in un contesto culturale e accademico in cui si richiede ad un’impresa di adottare un comportamento socialmente responsabile che risponda sia alle aspettative economiche, sia a quelle ambientali e sociali di tutti gli attori del sistema economico, con l’obiettivo di massimizzare e rendere più competitiva l’impresa sugli utili nel lungo periodo e di diminuire l’impatto ambientale e sociale in termini negativi.
La società civile avrebbe così voce attiva nell’operato dell’imprenditoria.
Coloro che consumano infatti non guarderebbero più solo alle caratteristiche del prodotto in se quali costo, qualità e funzionalità, ma anche a quelle caratteristiche non materiali come provenienza assistenza, personalizzazione e politica aziendale.
L’oggetto in sé, per il consumatore inizia ad avere una “personalità” fatta anche della sua storia, a tal punto che le aziende per preservare e sponsorizzare la propria immagine in maniera positiva agli occhi dei consumatori, degli investitori e delle comunità, in cui producono e vendono, hanno la necessità di conformarsi con questo nuovo modello.
Esempi importanti li possiamo trovare leggendo la rilevanza del Commercio Equo e Solidale.
È un sistema che restituisce alle società che vi aderisce il potere, di differenziarsi dalle politiche di governo che non intervengono in maniera diretta sull’inefficienza di mercato e sulle ingiustizie distributive.
Una buona pratica che mette a sistema un’idea imprenditoriale più equa, nonché una visione più lungimirante e di successo verso investitori, imprenditori, comunità e territori d’appartenenza.
L’Unione Europea definiva la Responsabilità Sociale d’Impresa come una azione volontaria, ovvero come “La responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società”.
Con la comunicazione del 2011 e l’allineamento con le Nazioni Unite e l’OCSE, ha superato la visione esclusivamente filantropa della Corporate Social Responsibility individuando una teoria operativa così da non renderlo un sistema esclusivamente assimilabile alla buona immagine.
In relazione al concetto di responsabilità sociale si sono sviluppati alcuni modelli di gestione aziendale innovativi, legati al tema dell’etica, come lo standard SA 8000 per assicurare nelle aziende condizioni di lavoro che rispettino la responsabilità sociale. Lo standard AA1000 è uno standard di processo elaborato per valutare i risultati delle imprese nel campo dell’investimento etico e sociale e dello sviluppo sostenibile e lo standard ISO 26000 che stabilisce sistemi tecnici standardizzati per la qualità.
Il dialogo in termini di responsabilità sociale d’impresa è ancora aperto, i principi ispiratori portano verso una visione più globale e meno locale dove iniziare a parlare di valore condiviso, sostenibilità sociale con un impatto reale e capillare sulla persona, sulla società, sull’ambiente e sull’impresa.